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La più antica testimonianza della Passio - I protomartiri francescani.

Nella nostra chiesa, in coro, uno degli affreschi di Adolfo Mattielli è dedicato alla festa odierna dei protomartiri francescani in Marocco. A quella notizia A quella notizia San Francesco esclamò: "finalmente posso dire di avere cinque veri frati minori".



Nel momento attuale, di una società sempre più multirazziale, multi etnica e multi religiosa la vicenda dei Protomartiri francescani risulta assai imbarazzante e così, rispetto al più confacente incontro di san Francesco con il Sultano, la si ignora, o si cerca di esorcizzarla, oppure di espellerla dalla tradizione e storia francescana con affermazioni più o meno riducibili al fatto che non compresero la novità del Santo d’Assisi. Tuttavia nella vicenda non solo della storia minoritica, ma persino degli anni in cui visse frate Francesco vi sono anche questi frati Minori uccisi in Marocco nel 1220 circa e appare abbastanza scontata la contrapposizione tra il presunto atteggiamento dialogante di Francesco d’Assisi con la vicenda dei Protomartiri francescani finita in modo cruento.

Studi recenti hanno mostrato che nella più antica narrazione della Passio Sanctorum Martyrum fratrum Berardi, Petri, Adiuti, Accursii, Othonis in Marochio martyrizatorum il punto focale è l’affermazione che i cinque frati, dopo che fu emessa nei loro riguardi la sentenza di morte, si ripetevano l’un l’altro: «Orsù fratelli! Abbiamo trovato quello che cercavamo: siamo costanti e non temiamo di morire per Cristo!». Quindi l’intenzione dell’agiografo non è tanto quella di mostrare la crudeltà degli infedeli e neppure un metodo di predicazione ai saraceni, ma che i “nuovi martiri” provenienti dagli ordini mendicanti, e più precisamente dai frati Minori, non hanno nulla di meno da quella radicalità evangelica dei primi secoli cristiani.

Oltre alla puntualizzazione di tale prospettiva con cui la narrazione della loro vicenda è stata scritta – che contribuisce a evitarne letture anacronistiche, con cui il passato è letto secondo i bisogni del presente, indirizzati a giustificare uno scontro di civiltà o ad esorcizzarlo – certamente non è possibile misconoscere che la posizione verso gli infedeli è tipica del tempo. E davanti a ciò, più che un chiedere perdono per tale atteggiamento, contribuisce maggiormente a una onestà intellettuale quanto affermato da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Operosam diem indirizzata al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, in occasione del xvi centenario della morte di sant'Ambrogio, vescovo e dottore della Chiesa. In questo documento, Giovanni Paolo II, pur elogiando il pensiero del Santo, afferma che «inadeguato si rivelò» l'atteggiamento avuto da Ambrogio riguardo agli ebrei. Infatti il Pontefice parlando del rapporto di Ambrogio con le autorità civili scrive:

Era una strada difficile da percorrere, tutta da inventare; ed Ambrogio dovette di volta in volta precisare meglio modalità e stile. Se gli riuscì di coniugare fermezza ed equilibrio negli interventi già menzionati — nella questione cioè dell'altare della Vittoria e quando fu richiesta una basilica per gli ariani — inadeguato si rivelò invece il suo giudizio nell'affare di Callinico, quando nel 388 venne distrutta la sinagoga di quel lontano borgo sull'Eufrate. Ritenendo infatti che l'imperatore cristiano non dovesse punire i colpevoli e neppure obbligarli a porre rimedio al danno arrecato, (Cfr. S. Ambrosii, Ep. extra coll. i, 27-28: SAEMO 21, p. 188) andava ben oltre la rivendicazione della libertà ecclesiale, pregiudicando l'altrui diritto alla libertà e alla giustizia.

Leggendo questo brano si rimane ammirati dal profondo senso della storia che viene colta nella sua contraddittorietà drammatica, senza piegarla alle esigenze o categorie contemporanee, ma nel frattempo la capacità di un giudizio evangelico su di essa. Potremmo dire che Giovanni Paolo II ha saputo unire, tenendoli distinti, il giudizio descrittivo della realtà dal giudizio valutativo. Prima viene la descrizione della realtà storica, in aderenza alle fonti, e poi con la sua autorità morale ne dà un giudizio valutativo. Ciò gli permette in contemporanea di essere attento alla dimensione storica, ma senza edulcorarla o rimanerne prigioniero. Così noi possiamo ammirare la totale affezione a Cristo dei Protomartiri francescani, fino a versare il proprio sangue, ma nel frattempo riconoscere come inadeguato – per la consapevolezza attualmente raggiunta dalla Chiesa ed espressa nel concilio Vaticano II – il loro giudizio nei confronti della fede altrui.


Pietro Messa

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