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Mostra Presepiale

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San Francesco d’Assisi, il grande Santo della povertà, esaltato da Dante nell’XI canto del Paradiso, è stato spesso considerato l’inventore del “presepe” ed è per questa ragione che spesso, nelle rappresentazioni presepiali, fa la sua comparsa anche un frate rivestito del saio francescano, con il sacco delle elemosine sulla spalla e, talora, con un bicchiere di vino offertogli dalla generosità di un oste o di un avventore.

In realtà, San Francesco non realizzò una rappresentazione presepiale come l’intendiamo noi, cioè mediante figure, che possono essere delle statue, di maggiore o minore grandezza, o anche delle vere e proprie persone, come nei presepi cosiddetti “viventi”. Egli fece qualche cosa di diverso: egli volle che il Sacrificio della Messa, nella Notte di Natale, fosse celebrato, non, come di consueto, in una chiesa, ma nell’ambiente stesso in cui Gesù era nato, cioè in una stalla. Centro della celebrazione fu la mangiatoia, appositamente preparata, con un bue e un asino come uniche “comparse”: non c’erano, infatti, “figuranti” che impersonassero la Madonna e san Giuseppe. C’erano, sì, i “pastori”, ma questi erano i veri pastori, abitanti delle zone vicine. Neppure fu posto il “Bambino” nella mangiatoia, a mezzanotte, com’è nostra consuetudine: nel “presepe” preparato da San Francesco, il Bambino apparve come segno della particolare predilezione divina per il Santo e per la sua scelta in favore della povertà.

Francesco d’Assisi e la tradizione del presepe

La greppia che preparò nel giorno della Natività del Signore. 

 “84. Si deve anche ricordare, e con reverente memoria ritornarvi, ciò che, due anni prima della sua gloriosa morte, fece nel giorno della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, presso il paese che si chiama Greccio. In quel circondario vi era un uomo di nome Giovanni, che conduceva una vita anche migliore della buona fama di cui godeva. Il beato Francesco aveva per lui una particolare predilezione perché, pur essendo di stirpe molto nobile ed onorata, aveva calpestato la nobiltà della carne e aveva perseguito la nobiltà dello spirito. Il beato Francesco, dunque, come spesso era solito fare, quasi quindici giorni prima di Natale, lo fece chiamare e gli disse:

– Se vuoi che celebriamo questo Natale a Greccio, va’, precedimi, e prepara con cura ciò che ti dico. Voglio, infatti, celebrare il memoriale di quel Bimbo che nacque a Betlemme e con gli occhi del corpo contemplare i disagi della sua infanzia povera, come fu adagiato nella mangiatoia e come, tra il bue e l’asino, se ne stette poggiato sul fieno.

All’udire queste parole, quell’uomo buono e fedele corse subito via e nel luogo indicatogli preparò ciò che il Santo aveva detto.

85. Si avvicinò dunque il lieto giorno, venne il tempo dell’esultanza. Da più luoghi furono fatti venire i frati, e gli uomini e donne di quel circondario, ognuno secondo la possibilità, nell’esultanza dell’anima, prepararono ceri e fiaccole ad illuminare la notte che, con lo splendore della stella, illuminò tutti i giorni e gli anni. Venne, infine, anche il Santo di Dio e, trovando tutto preparato, vide e ne gioì.

Si prepara la mangiatoia, vi si porta il fieno, vi si conducono il bue e l’asino. In quel luogo si onora la semplicità, si esalta la povertà, si raccomanda l’umiltà, e, da Greccio che era, il paese diventa quasi una nuova Betlemme. S’illumina la notte come fosse giorno, piena di delizia per uomini e bestie. Arriva gente, e, di fronte al nuovo rito, si rallegra di gioia finora sconosciuta.

La selva rimanda le voci, e le rocce rispondono alle grida di giubilo. Cantano i frati innalzando a Dio le dovute lodi, e l’intera notte risuona dei canti di giubilo. Il Santo di Dio è in piedi davanti alla greppia, con intensi sospiri, devotamente raccolto e circonfuso di meravigliosa allegrezza. Si celebra la Messa solenne sulla mangiatoia, e il sacerdote ne riceve una  consolazione mai provata prima.

86. Il Santo di Dio indossa i paramenti da diacono, poiché era diacono, e con voce squillante annunzia il Vangelo. E la sua voce, volta a volta veemente, dolce, chiara, sonora, invita tutti a cercare il premio più alto. Poi tiene la predica al popolo circostante e prorompe in parole dolci come il miele sulla nascita del Re che si è fatto povero e sulla piccola città di Betlemme.

[…]

Si moltiplicano i doni di Dio e da un uomo virtuoso si scorge una mirabile visione. Costui vedeva, infatti, nella mangiatoia giacere un bimbo addormentato e il Santo di Dio gli si accostava, e voleva quasi risvegliare il fanciullino dal sonno profondo. E non era sconveniente, questa visione, poiché il Bambino Gesù era caduto nella dimenticanza nei cuori di molti e in questi stessi cuori, per la Sua Grazia, Egli fu resuscitato per mezzo del suo servo san Francesco e ne fu impresso l’indelebile ricordo. Si termina infine la veglia solenne e ognuno se ne torna con gioia alla propria dimora”.

La pedagogia del silenzio

• Il Presepe indicava un preciso stile di vita, una precisa Pedagogia. Innanzitutto, la Pedagogia del silenzio. Tutto tace. La mezzanotte avvolge ogni cosa: allora Gesù può nascere. Ecco: nel silenzio risplende sempre qualcosa! Platone consumava più olio nella lampada da notte, alla luce della quale scriveva in silenzio, che vino nella coppa. Gandhi, nonostante le molteplici attività, riuscì a restare fedele al silenzio settimanale del lunedì. Si, il silenzio aiuta a riflettere, decidere, progettare, scoprire un'Altra Presenza nella propria vita: Dio! Aiuta a scoprire le persone in maniera diversa!

• Nel Presepe trovi la Pedagogia dei sentimenti. Un padre e una madre protesi, anima e corpo, verso il bambino: lo accarezzano con gli occhi e con le mani. Persino gli animali, secondo la tradizione - mai come in questo caso tanto profonda e significativa! - partecipano all'amore. Prezioso Presepe che ricorda che non si vive di solo cervello né di sola meccanica!
Quali sono i nostri sentimenti verso Gesù?

• Nel Presepe trovi la Pedagogia dell’essenziale. Tutto nella grotta è ridotto all'osso. Certo, dalla pedagogia cosi austera di Betlemme, non può venir fuori un ragazzo che davanti al primo ostacolo crolla e molla: può fiorire solo un simpatico uomo di carattere come il Cristo. Ma nel mondo sono ancora milioni le persone che sono prive addirittura dell’essenziale! Così il Presepe ci educa alla solidarietà.

• Nel Presepe trovi la Pedagogia del dono. I Pastori portano regali; i Magi offrono omaggi. Qui tocchiamo uno dei caratteri più profondi della pedagogia del presepe. 'Perché il dono educa; educa più di ogni altra cosa. Psicologi e pedagogisti concordano nel sostenere che il guardare solo a se stessi fa morire lo spirito, se l'uomo vuole realizzarsi, deve scaraventarsi fuori dal proprio "io". Si, c'è più gioia nel donare che nel ricevere (Atti 20,35).

• Finalmente, nel Presepe trovi la Pedagogia della gioia. Da quella mezzanotte in poi, tutto può cambiare. “Vi annuncio una grande gioia” (Lc. 2,10): è incominciata la salvezza! Dio è con noi! Per sempre! Contempliamo il Presepe e impariamo per la vita. Auguri di ogni bene, nel nome di Gesù, “che nasce per noi”.

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